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Della minaccia e del dispregio. Ei detti
Di maggiore umiltà dal labbro mio
Certo aspettava. Non trascesi: umìle,
Ma dignitosa serbai fronte e voce;
350Ed ei sognò ch’io lo schernissi. Audaci
Son tue pupille, o giovine! proruppe;
Abbassale! — Non già! Timor non sente,
Risposi, di Camillo un messaggero.
Mandotti il temerario ad insultarmi?
355Riprese urlando, a far vigliacca prova
Della mia pazïenza? A tentar s’io
Contaminar vo’ mia illibata fama,
Tua vil pelle col mio ferro toccando,
O alle fruste segnandola? Va, stolto
360Incettator di vituperi e busse;
Riporta al signor tuo, ch’uom che si pente
De’ tradimenti suoi, ch’uom che desìa
L’amistà racquistar d’un generoso,
Con ambagi non parla, e schiettamente
365Dice: il cammin ch’io tenni era turpezza.
A sì indegne parole arsi di sdegno
Per l’onor tuo. Via di turpezza mai
Non calcherà, mai non calcò il mio sire!
Gridai. Ruppe il mio grido, e con un fiume
370Di fulminea infrenabile eloquenza,