Vile! un manto d’infamia hai tessuto, L’hai voluto, — sul dosso ti sta; Nè per gemere, o vil, che farai, 64Nessun mai — dal tuo dosso il torrà.
«Oh! il dileggio di ch’io son pasciuta Quei che il versan non san dove scende. Inacerban l’umil ravveduta 68Che per odio a lor odio non rende. Stolta! il merito, chè il piè non rattengo, Stolta! e vengo — e rivelo fra lor Questa fronte che d’erger m’è tolto, 72Questo volto — dannato al rossor.
«Vilipeso, da tutti reietto, Come fosse il figliuol del peccato, Questo caro, senz’onta concetto, 76È un estranio sul suol dov’è nato. Or si salva nel grembo materno Dallo scherno — che intender non sa; Ma la madre che il cresce all’insulto 80Forse, adulto — a insultar sorgerà.
«E se avvien che si destin gli schiavi A tastar dove stringa il lor laccio: Se rinasce nel cor degl’ignavi 84La coscienza d’un nerbo nel braccio; Di che popol dirommi? A che fati Gli esecrati — miei giorni unirò? Per chi al cielo drizzar la preghiera? 88Qual bandiera — vincente vorrò?
«Cittadina, sorella, consorte, Madre — ovunque io mi volga ad un fine, Fuor del retto sentiero distorte 92Stampo l’orme fra i vepri e le spine. Vile! un manto d’infamia hai tessuto; L’hai voluto; — sul dosso ti sta; Nè per gemere, o vil, che farai, 96Nessun mai — dal tuo dosso il torrà.»