«Va, Gismondo e qual ch’io sia,
non por mente alle mie pene. 57Una patria avevi in pria
Che donassi a me il tuo cor:
Rompi a lei le sue catene, 60Poi t’inebria dell’amor.
«Va, combatti; — e nei perigli
Pensa, o caro, al dì remoto 63Quando, assiso in mezzo ai figli,
Tu festoso potrai dir: Questo brando a lei devoto, 66Tolse Italia dal servir.» —
Poveretta! — E tutto sparve!
I patiboli, le scuri 69Di sua mente or son le larve,
La fallita Libertà,
L’armi estranie, i re spergiuri, 72E d’Alberto la viltà.
Lui sospinto avea il suo fato
Su la via de’ gloriosi; 75Ma un infame il sciagurato
Ne preferse; e in mano ai re
Diè la patria, e i generosi 78Che in lui posta avean la fè.
Esecrato, o Carignano,
Va il tuo nome in ogni gente! 81Non v’è clima sì lontano
Ove il tedio, lo squallor,
La bestemmia d’un fuggente 84Non ti annunzi traditor.
E qui in riva della Dora
Questa vergine infelice, 87Questo lutto che le sfiora
Gli anni, il senno e la beltà,
Su l’esosa tua cervice 90Grida sangue — e sangue avrà.