Pargli aver penne agli omeri,
E un ciel che l’innamora
Battere, ai rai vermigli
D’italïana aurora.
Fiuta dall’alto i balsami
De’ suoi materni tigli:
Gode in veder la turgida
Foglia de’ gelsi ancor.
Come la vispa rondine,
Tornata ov’ella nacque,
Spazia sul pian, sul fiume,
Scorre a lambir fin l’acque,
Sale, riscende, librasi
Su l’indefesse piume,
Viene a garrir nei portici,
Svola e garrisce in ciel;
Così fidato all’aere
Ei genïal lo spira,
E cala ognor più il volo,
Più lo raccorcia, e gira
Lento, più lento, a radere
Il vagheggiato suolo;
Com’ape fa indugevole
Circa un fiorito stel.
L’aia, il pratel, la pergola
Dove gioìa fanciullo;
L’erte indicate ai bracchi
Nel giovenil trastullo;
Le fratte d’onde al vespero,
Chino a palpar gli stracchi,
Reddìa, colmo sul femore
Pendendogli il carnier;
Tutti con l’occhio memore
I siti, egli rifruga,
I cari siti, ahi lasso!
Che nell’amara fuga