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La pace! la pace! Rechiamola ai figli,
Nunziamo alle spose finiti i perigli
Di ch’elle tant’anni pei cari tremâr.
L’immune abituro pregato ai mariti,
Or l’han; nè più mogli di servi scherniti,
Ma donne di franchi s’udranno chiamar.

Addio, belle rive del fiume straniero,
E tu, mitigato signor dell’impero,
E tu, pei Lombardi la fausta città.
Tornati a sedere su i fiumi nativi,
Compagno de’ nostri pensieri più giulivi,
Costanza, il tuo nome perpetuo verrà.

Ma quando da canto le nostre lettiere
Vedrem le sospese labarde guerriere,
E i grumi del sangue che un dì le bruttò;
Un altro bel nome ricorso alla mente
Diremo alle donne; ciascuna, ridente,
Poggiatasi al braccio che i fieri prostrò.

Direm lo sbaraglio del campo battuto,
E il sir di tant’oste tre giorni perduto,
Tre notti fra dumi tentando un sentier.
La regia consorte tre notti l’aspetta,
Tre giorni lo chiama dall’alta veletta:
Al quarto, — misviene fra i muti scudier.

L’han cerco nel greto, nell’ampia boscaglia;
Indarno! — Sergenti, valletti in gramaglia,
Preparan nell’aula l’esequie del re. —
No, povera afflitta, non metterlo il bruno.
Giù al ponte v’è gridi; — lo passa qualcuno:
È desso, — in castello; — domanda di te.

No, povera afflitta, tu colpa non hai;
E il ciel te lo rende; nè tu le saprai
Le angosce sofferte dall’uom del tuo cor.
Ma taci; e ti basti che vano è il corrotto.
Nessun di battaglia s’attenti far motto;
Nessun con inchieste gl’irriti il rossor.