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l’aperte gallerie. Le scolte, avvistesene, diedero l’allarme. I cittadini, rincalzati dallo sdegno, uomini, donne, si fanno addosso ai nuovi venuti, li uccidono, o capovolgono dai bastioni: quei ch’erano in viaggio, rimangono soffocati sotto il terreno smotato. Poi, dalle aperte porte si lanciano su quei di fuori, li fugano e danno il fuoco alle macchine.

Federigo, posto tra gli assedianti e l’armata lombarda, distrusse nella notte gli attendamenti, e il dì di Pasqua si mosse per a Pavia. Vedeva l’anima sua in mano omai degli alleati, ma comprendeva altresì la forza prepotente di un’inveterata opinione. Giunto a vista dei Lombardi, fece far alto, e come amico si pose a campo. Eglino che eransi atteggiati a combatterlo nemico, poichè l’ebber visto con confidenza quasi di padrone benevolo in mezzo a loro, tentennarono in prima: poi, vinti all’idea dell’imperiale maestà, cansarono la giornata. Il dì appresso, per alcuni nobili non sospetti, ricevettero proposizioni d’accomodamento. Federigo «salvi i diritti dell’impero» porrebbe la causa in mano d’arbitri scelti dalle parti. Le repubbliche «salva la devozione alla chiesa e alla libertà» acconsentivano. Si congedarono da parte e d’altra gli eserciti. L’imperatore si trasse a Pavia, i Lombardi alle case proprie. Si proseguirono le pratiche; Federigo nel mezzo tempo non mancò, quant’era da lui, di suscitare sotto mano le sopite rivalità, e di dividere con arti sottili gl’interessi delle repubbliche: pure, ciò che sembra aver allontanata la conchiusione finale, riferisce alle vertenze tra lui e il pontefice.

Ma quando era tuttavia sul trattare, comandava alla Germania un esercito novello. I suoi vescovi, principi, conti avean già ragunati i vassalli. Dieder le mosse in primavera (1176), e cansando la via dell’Adige guardata dai Veronesi, sbucavano dai Grigioni giù per l’Engadina, Chiavenna e Como. Dove Federigo, attraversando sconosciuto il Milanese, veniva a porsi loro in testa, davanti a Legnano, castello nel contado del Seprio. Univa a sè Comaschi, Pavesi e Monferratini. I Milanesi, esposti i primi alle offese, non rimisero della loro virtù. Sin dai gennaio avean fatto rinnovare il giuramento federale; instaurate elette coorti di cavalli; una delle quali chiamata della Morte, a cui erasi votata piuttosto che dar dietro; un’altra detta del Carroccio, composta di trecento giovani delle più notabili famiglie, stretti da un medesimo sacramento: gli altri cittadini tutti spartiti in sei corpi, seguitavano gli stendardi delle sei porte.

Il dì 29 di maggio seppero l’imperatore non più di