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I Milanesi, tuttavia nelle quattro aperte borgate, mandavano pregando con istanza grande che, anzi tutto, fussevi statuito di rendere loro la patria: così fortificati, avrian potuto dar la vita novellamente per la comune libertà. I deputati, memori di quanto avea operato e sostenuto quel popolo generoso per la causa di tutti, ne diedero fede solenne in nome delle rispettive città. Indi divisarono la formula del giuramento, che doveva essere riportato a ciascun parlamento di città; e, come approvato, così da ciascheduno individuo ripetuto. Giuravano alleanza contro chiunque attentasse alle libertà e privilegi d’una o di tutte le città; di non dover conoscere salvezza che dall’armi; di non le deporre, quanto durasse il bisogno, che colla vita.

Intanto che i deputati, ricondottisi alle loro città, convocavano i parlamenti, i Milanesi sguerniti d’arme e di mura, rimanevano alla balìa dei finitimi Pavesi, rivali antichi e nemici. Era già divulgatasi l’inchiesta fatta a Pontida, ed ogni momento poteva riuscir ad essi l’estremo. E ne avean pure a tempo a tempo intenzione, per gli avvisi che quei di Pavia andavano porgendo ai Milanesi da loro ospitati. Quando finalmente, il giorno diciannovesimo dal convegno di Pontida, il dì 27 di quell’aprile medesimo, apparvero a vista della borgata di San Dionigi dieci cavalieri di Bergamo cogli stendardi del comune, susseguiti d’altrettanti stendardi di Brescia, Cremona, Mantova, Verona e Treviso. Conseguitavano le milizie, recanti l’armi pei Milanesi. Subitamente tutti gli abitanti delle quattro borgate si levarono con grida altissime di gioia; e, come per istintiva determinazione, si furon portati di conserva ai luoghi dov’era dianzi Milano. Prima di dar opra alle abitazioni, procacciarono lo sgombramento della fossa e la ricostruzione delle mura. Le milizie della Lega Lombarda (presero allora questa denominazione) non si dipartirono come prima non ebber visti i Milanesi sufficientemente assicurati al difuori. La lega, continuandosi alla sua impresa, si aderì a forza, poichè gl’inviti non fruttarono, la città di Lodi che parteggiava saldamente per l’imperatore, da cui riconosceva il rialzamento delle proprie mura, state prima distrutte dalla rivale Milano. Di Pavia, o che il tenerla non estimasse di suprema importanza, o ne riputasse gli animi omai fracidi nell’imperiale ossequio, non fu parlato. Espugnò quindi il castello di Trezzo, situato tra Milano e Bergamo, entro cui stava il tesoro imperiale alla custodia di genti tedesche, e commise altre fazioni alla spicciolata.