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di spettacoli, torneamenti e conviti, trionfava a Pavia; poi ritornava tra’ suoi Germani.
Ma questa vittoria, per grande, appena era che pareggiasse il foco d’indipendenza e di patria, che sopravviveva ad ogni più fiero caso in cuore degli italici repubblicani; rafforzato dal sentimento religioso e nudrito dalla virtù di papa Alessandro. Di che, gli estremi mezzi adoperati ad ispegnerlo, dovean farsi in quella vece fomite e cemento dell’italiana libertà. Tanto inaudita sciagura avea già aperto ai generosi profughi di Milano le porte ed i cuori d’esse stesse le città che parteggiavano per l’impero: ravvistesi del quanto fosse da attendere dal loro padrone, amico o nemico.
Il quale tornando per la terza volta in Italia, più con gran splendore di corte che con forza di eserciti, a dimostranza di securo imperio e a ludibrio de’ vinti; deliberarono i Milanesi e i Veronesi di tentare, prima che altro, un ultimo sperimento: invocarne colle croci e cogli omei la misericordia, e con rispettose supplicazioni la giustizia. Ed egli i Veronesi ributtar con disdegno: le istanze dei Milanesi accôrre con un cotal garbo di pacifico signore, e rimetterle ai suoi consiglieri; ed essi stessi farne quel che i ministri di cosiffatti padroni. Dopo di che, piegava nell’Emilia dalla banda di Fano.
Le città lombarde videro allora che non era da sperar salute che nel lasciare ogni speranza, e tennero una consulta. Federigo, avuta voce di queste commozioni, diè la volta, raccozzandosi intorno le milizie lombarde che credeva a sè fedeli; ma disanimato al tentennare di queste, ed assalito dai popolani della Marca veronese, abbandonò il campo, e si ritrasse in Alemagna.
Donde, dopo covate lunga pezza le sue vendette, ridiscendeva con poderoso esercito in Italia. Fatto cauto dai propri esperimenti, non si gettò di presente sulle città nemiche, ma con segrete pratiche tentò di dividerle: onde postato tra Bologna ed Ancona, vi si consumava sei mesi, lasciando dietro di sè impuniti i Lombardi, e Roma a fronte, ch’erasi ribellata. Profittando di quel suo stare, primi i Veronesi mandarono loro deputati per tutte le città amiche, proponendo un’assemblea generale dei rappresentanti di ciascheduna. Designarono a convegno un monistero posto tra Milano e Bergamo, appellato da San Giacomo in Pontida, e vi si furono congregati il dì 8 d’aprile di quell’anno 1167. Erano Veronesi, Vicentini, Padovani, Trevisani, Cremonesi, Bergamaschi, Bresciani e Ferraresi.