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onde affettar precauzioni, sempre a quattr’occhi, sempre sotto voce; e premessa sempre la formola protestatoria che non si tratta d’entrare nella politica, ma si parla solo de’ versi come semplicemente versi, come un oltraggio recato alle buone lettere, di cui il pigliar le difese è sacro dovere. Alle censure di costoro, che saranno tanto più vicini a conseguire dai governi un impiego, od a migliorarlo, voi, miei dilettissimi, non potete, nè dovete averla voi l’imprudenza di rispondere una sillaba, s’anco pensaste ch’io meritassi da voi qualche protezione da quegli assalti. L’amico vostro dunque rimarrebbe a partito peggiore che non le illustrissime Buone Lettere, sfornito, voglio dire, d’ogni difesa. È vero che in Italia, non solo nelle inezie come queste, ma nelle cose gravissime, è legale sentir l’accusatore e condannare alle forche l’accusato, senz’altra formalità che il beneplacito di chi paga il boia. Ma i rozzi popoli tra cui sono venuto vagando da alcuni anni, mi hanno messo in capo molti pregiudizi, e fra i molti quello di associare all’idea di giustizia l’idea di difesa, e quel che è peggio, difesa pubblica, a porte spalancate. Guastato dal mal esempio, caduto, lontano dalla patria in tanta ignoranza, non so tenermi dal rispondere io innanzi tratto a quelle censure, dal far pubblica la difesa mia, e d’una maniera spiccia, ma oso dire, persuadentissima. Piglio fiato, ed incomincio:
«Signori, in quanto alla condotta del poemetto, condotta troppo evidentemente regolare, troppo ordinata a presentare in grande la simmetria di una antitesi; in quanto alle immagini talvolta troppo prosaiche, talvolta troppo noiose; in quanto agli accidenti, alle persone, ed a’ discorsi ch’elle fanno or troppo lunghi, or troppo strampalati; in quanto al tutto insomma che i versi rappresentano, è gofferia la vostra se ne parlate. I sogni vengono come