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d’uopo di misurare sempre il vero con la spanna o col compasso? Dov’è l’uomo anche meno dotato di questa potenza, il quale, se gli dici: «la tale famiglia è viziosa,» non sappia crearsi nel suo pensiero l’immagine di qualche azione viziosa de’ componenti quella famiglia? Quell’azione da lui immaginata, manco male non sarà avvenuta nella realtà materiale delle cose, non sarà vera; ma sarà analoga al vero, ma verisimile: sarà nella mente di lui la forma visibile del concetto invisibile, sarà uno de’ fantasmi rappresentativi della nozione del vizio. Come colui che gli suonò all’orecchio la parola vizio, era salito dagli oggetti all’astrazione; così egli immaginando un’azione, altro non avrà fatto che quello che facciamo d’ordinario noi, turba grossolana — voi sapienti non so come facciate — sarà ridisceso a cercare negli oggetti un simbolo figurato dell’astrazione; ed in mancanza di oggetti reali, gli sarà bastata la rappresentazione di essi nel suo pensiero. Di questo modo parmi che tutti siamo più o meno poeti, anche il ciabattino, che non ha sentito parlar mai di poesia, anche colui che non ha aperto mai bocca a manifestare ad altri un suo pensiero: perchè la facoltà di crearci oggetti ideali, di arrestarci a contemplare fenomeni che non occuparono mai nè tempo, nè spazio, di vagare dietro il verisimile sdimenticati del vero, la facoltà poetica insomma in tutti i suoi attributi, sia o no che se ne faccia stima o disprezzo, ell’è pur sempre una delle perpetue imprescindibili condizioni che costituiscono lo spirito umano. E chi sa che ella non sia, fors’anche la precipua! Chi sa che l’uomo non sia forse più poeta che altro anche allora ch’egli dichiara ad altri e giura a sè stesso d’esserlo meno, e sel crede?
E a proposito di ciabattino, per citare due esempi del presente poemetto, la risposta a’ quali calza per tutti i casi anche più minuti di esso; vi pregherei