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simi, rifuggirci alle anomalie, quando trattasi di far giudizio dell’intera nazione?

Ell’è una verità dura — e chi ’l niega? — a sentirsela dire, durissima a dirla questa della nostra corruttela. Ma anche Dio, o chi parlava in nome di lui, rinfacciava durissime verità al popolo pure prediletto. Ma gli è meno amaro, poichè ella non è più un segreto, il dircela quella verità tra di noi, che non il sentircela rintronare ogni tratto e in mille guise dalla bocca degli stranieri, e rintronare con quella odiosità di paragoni, con quella asprezza di modi vanitosi, che ti rende ostico il rimprovero per ciò solo che t’accorgi che in esso non è mistura alcuna d’amore. Quando noi avremo detto il fallo nostro, sarà già questo un passo verso l’emendarcene; e gli stranieri saranno costretti a tacere, se non per altro, per quella cura che gli uomini mettono, non dirò a non essere, ma a non parere plagiari.

Ma rimettiamoci in cammino. I due termini astratti virtù e corruttela, i due concetti di secolo vecchio e secolo presente, come poteva io esprimerli co’ mezzi poetici senza ricorrere a forme concrete, a forme umane che li rappresentassero?

Lascio a voi, dilettissimi, insieme col merito della pazienza il fastidio di spiegare le leggi e il perchè di questa necessità poetica, a coloro che non l’intendessero da sè e fossero galantuomini da potervi fidar voi a menzionare con essi i versi e il nome mio. Ma sopra tutto vi raccomando di mettervi anche a dire cose triviali, tanto da farvi meglio comprendere, e conficcare e ribadire ben bene nel capo di loro come quelle forme, a trovarle, non richieggano modelli reali di cui ritrarle, a guisa che fanno i pittori quando ritrattisti, o quando non accostumati alla franca rappresentazione dell’ideale. Che sarebbe questa potenza che la mente umana ha d’immaginare, se per rinvenire il verisimile avessimo