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     Tremò sentendo a nominar quel colle,
E — Sono vivi?— dimandar volea;
Ma la voce di subito mancolle,
E a stento su per l’erta il piè movea.
Col gombito al fucile e il ciglio molle
La scolta a riguardarla si volgea:
La poveretta come più saliva
Più si sentia tremare, e impallidiva.

     E quando fa arrivata a quell’altura,
Si chinò per guardar l’altro pendìo,
E tutto le sembrò una sepoltura;
Le sembrò udir gridare: — O madre, addio! —
E vista ad una fossa una figura,
Le braccia aperse e disse: — O figlio mio! —
Ma giunta ove suonato avea la voce
Vide segnato — Attilio — ad una croce.

     Si fece bianca e le si chiuser gli occhi,
Ma non potè mandar grido o lamento;
Piegò davanti alla croce i ginocchi,
E così stava senza movimento:
Di San Martino i flebili rintocchi
Salutarono il dì ch’era omai spento;
Ella a quel suono in un gran pianto uscìo,
E giù cadde chiamando: — «Attilio mio.

     «Attilio mio, partendo mi dicesti:
Ti porterò un bel fior di Lombardia!...
E tu, mio primo fior, tu qui cadesti,
Nè più verrai dov’io ti partoria.
Venezia sarà tutta in gaie vesti,
E il bruno avrà la povera Maria;
Ma io porrò su quel bruno il tricolore,
Vi porrò il nome tuo, mio santo amore.

     «Il nome ch’io ti posi hai ben portato,
Ch’io per la patria ti nomava Attilio:
Ma, dimmi, il tuo fratel dov’è restato?
S’ei fosse morto, saria teco Emilio: