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A que’ detti che l’eco diffonde,
     In gran cerchio la Gallia già spazia,
     Ed Elvezia, Brabante, Sarmazia,
     Già gareggian di patrio valor:
          E quei detti son soffi di Noto
     Nell’incendio di vampe frementi,
     E son vampe le fervide genti
     Agitate da santo furor.

Dalle cime dell’Alpi nevose
     Alla vetta dell’Etna fiammante
     Ella passa e ripassa gigante,
          All’Italia parlando così:
     «Cingi l’elmo, la mitra deponi,
     O vetusta signora del mondo;
     Sorgi, sorgi dal sonno profondo,
     Io son l’alba del nuovo tuo dì!

«L’iperborea nemica grifagna
     Che due rostri ti figge nel seno,
     La cui fame non venne mai meno,
     Ma col pasto si rese maggior,
          «Ti divora, ti lania, ti sbrana,
     Nè tu scuoti l’inerzia funesta?
     E non tronchi la gemina testa,
     In un moto di giusto furor?

«Dove sono, domanda taluno,
     I nepoti de’ Fabi, de’ Bruti? —
     Son quei greggi di schiavi battuti,
     Rispondendo tal altro gli va.
          « — Non in altro che in pietre spezzate
     Può mostrarci l’Italia gli eroi?...
     Così chiede ridendo fra i suoi,
     Fin quel vile che vile ti fa.

«Ringoiate, beffardi superbi,
     Quel veleno che ’l labbro vi tinse;
     In quell’uno che tutti vi vinse
     I suoi figli l’Italia mostrò.