18In su l’eteree volte, a che ti stai
O diva Urania, e di che prendi or cura?
Che ti cale del ciel, se Morte omai
Scempio fa del tuo figlio, e a noi lo fura?
Vieni; e co’ puri tuoi fulgidi rai
Sgombra la nube, che sue luci oscura;
Vieni; e quel salva, ch’han gli Dei sì caro,
Ch’ogni loro segreto a lui svelaro.
19Dunque non basta, che dal ciel concessi
A noi sien sì di rado i sacri ingegni,
Che gl’invidia la Terra, e sovra d’essi
Versa l’Erebo ancor tutti i suoi sdegni?
Fia dunque o Numi che di viver cessi
Questi, che opra è di voi sì rara! ah indegni
Di sì gran nome, e chi, se or tali scherni
Soffrir potete, crederavvi eterni?
20Che veggio? ahimè! la man, che franca ardiva
Dipingere natura, or l’immortale
Suo pennello cader sente, e la priva
Dell’altera sua possa un gel mortale.
Gli occhi, onde il fuoco dell’ingegno usciva,
Cinti da benda sono atra e ferale;
Lungi da lor sen fugge il sonno, e solo
L’ardente febbre li circonda, e il duolo.