12O nere Deitadi, un uom, che sorte
Ha insiem divina, a minacciar ne prende:
Ei conquistò l’Olimpo, e infra ritorte
Servili me di stringere pretende.
Il nome suo disprezzator di morte
In ogni parte gli occhi, e il cuor m’offende:
Ed il suo Re con odïati marmi
Congiura il suo Re stesso ad insultarmi.
13E l’Invidia son io! E chi fia poi
Che il voglia creder, se d’onor cotanti
Pur vivo ei gode, e sotto i piedi suoi
Le mie serpi tien vinte e palpitanti.
Ite, volate rapide, per voi
Pera quegli, cui s’erge a me davanti
L’indegno simulacro, itene, orrenda
Fatal rovina sovra lui discenda.
14Così dic’ Ella, e già scorrendo vanno
Per que’ luoghi, cui notte eterna preme,
I due mostri sdegnosi, e sente affanno
Di aver tai figli l’Erebo, e ne teme:
Dell’ombre ancora il rigido tiranno
A l’atro aspetto lor si cruccia e freme,
E poichè altrove hanno spiegato il volo,
Par che il pianto laggiù scemi ed il duolo.