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     Col rozzo suon di pastorale avena
     Ad affidar le mie querele ai boschi
     Che tradir non mi sanno, e come mai
     Io poteva sperar di sciorre accenti
     Degni di te, cui diede Apollo in dono
     La cetra d’or, che poi le Grazie ornaro,
     E che temprò di sua man propria Amore?
Te mille volte udir queste beate
     Rive, ch’Adige bagna, inni sonanti
     Mandare al cielo, ed eternare i pregi
     Di fortunati eroi; te udiron esse,
     Di Melpomene volto a’ sacri studi,
     Con magico potere accender l’ire,
     Destare il duolo, e trar su volti il pianto.
     Che se pungente stral da duo begli occhi
     In te scendendo il cor ti aperse, allora
     Quai da tuoi labbri non usciron dolci
     Concenti a celebrar il nome amato?
     Spesso ti udìr le Ninfe, e nell’udirti
     Sdegnose tinser di livor le gote.
     Io que’ sacri cipressi, io stessa vidi
     Cent’altre piante la corteccia incise
     Da la tua man, e di sì care cifre
     Segnate ancor pareano al ciel più altere
     Erger le braccia, e le frondose chiome,
     Che scosse a carmi tuoi fer plauso un giorno.