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E che pur veggio immobile
Più d’aspra selce e dura,
Fille, l’ingrata Fillide
Che il tuo dolor non cura,
Io grido allor, coll’umile
Ignobil canto mio
Di rattener chi fuggemi
Come sperar poss’io?
Come cantando io misera
Potrò impetrar pietade
Se i carmi non l’ottennero
Di sì leggiadro Vate?
Tu se non puoi mia cetera
Recar conforto al duolo,
Vanne istrumento inutile
Vanne negletta al suolo.
Assai queste de l’Adige
Rive mi udir dolente
Con tronche voci e gemiti
Chiamar chi me non sente.