Pagina:Poesie complete di Vittoria Aganoor, Firenze, Le Monnier, 1912.djvu/494

Il cameriere accorso all’impaziente squillare della soneria, stette invano paziente e rigido cinque buoni minuti sull’uscio. Il padrone stava evidentemente cercando un libro o un giornale, o forse chiedendosi perchè mai avesse chiamato quel servo. Finalmente, trovato quel che cercava, ordinò si accendesse la lampada dello studio. Quando fu solo e mentre si toglieva i guanti, pensando a ciò che avrebbe detto a sua moglie, vide la lettera e subito la prese e l’aprì. Era d’Alberto. — Una lettera un po’ ingiallita e gualcita, che portava la data di tre anni innanzi, il venti d’aprile, la vigilia del matrimonio. Lesse.

«Signorina Bice,

Quando con la spavalda sicurezza che m’avevan dato molte turpi anime, e molti falsi e facili trionfi, vi offersi un nome, che, essendo illustre e glorioso, credevo allora dovesse bastare a rendermi glorioso ed illustre a mia volta, e vi offersi la mia fortuna, che, stupidamente colossale, credevo dovesse affascinarvi senz’altro; voi, senz’ombra di civetteria, senza beffardi sogghigni, senza ingenerosa crudeltà, nè per niente eccitata dalla vittoria che in certo modo riportavate sulla mia sciocca imprudenza, voi mi rispondeste, tranquilla e seria, franca e mitissima, che mi eravate grata della fiducia che riponevo nel vostro carattere, offrendovi la custodia di un nome così immacolato ed illustre, ma che voi... non m’amavate, e che per me non avreste sentito mai altro che amicizia costante, serena. Allora come un gran velo mi cadde dagli occhi: io scettico, nauseato, cattivo, io nel dolore di