Pagina:Poesie complete di Vittoria Aganoor, Firenze, Le Monnier, 1912.djvu/493

della ragione, della logica, dell’orgoglio, della materna esperienza, ch’essa aveva dovuto combattere e vincere, per giungere ad esser sua, per potergli dare la sua anima vergine e i suoi primi baci, per chiudere in lui tutto il suo mondo e non aver altro padrone, altro sovrano, altro Dio che lui solo. No, non poteva più stare là; sarebbe tornata dalla sua mamma; solo allora, nella casa che l’aveva vista bambina, la casa cara e santa ch’essa aveva lasciata per correr dietro a quell’uomo; solo quando avesse potuto buttare le braccia al collo della sua mamma, solo con lei, strappata quella pesante maschera, avrebbe finalmente, potuto piangere, piangere dirottamente, con l’abbandono della disperazione lungamente nascosta e frenata da quel demone dell’orgoglio, del risentimento feroce, che adesso le serrava la gola e non le permetteva le lacrime. — No, no, lui non meritava di sapere quanto lei lo avesse amato! — E mentre il pianto le gonfiava ormai gli occhi, e mentre, con le mani tremanti, metteva alla rinfusa in una valigia oggetti disparati ed inutili, quasi a convincersi che la sua ragione l’aveva tutta, e una volta fermato un piano sapeva ad ogni costo seguirlo, la sua mente mutava pensiero. Bisognava lasciarlo, oh questa sì, me quel sospetto odioso non doveva restargli: e tolto da uno stipo, fra molte carte, una lettera, l’aveva portata correndo sulla scrivania del marito; poi era tornata nella sua camera a chiudere la valigia... singhiozzando.

Rientrando Guido nel salotto, lo trovò deserto. Meglio; avrebbe avuto il tempo di calmarsi prima di parlare con lei.