Pagina:Poesie complete di Vittoria Aganoor, Firenze, Le Monnier, 1912.djvu/492

vierebbe alla casa propria, quel senso indefinibile di sicurezza e di pace non l’avrebbe più ritrovato... Il suo mondo buono glielo avevano distrutto... E... se non fosso vero? se fosse soltanto smania di vendetta?... Pure era così sincero l’accento!... Ma... se il veleno che gli aveva messo in cuore ella lo avesse attinto dalla gelosia solamente? Ma, Dio! che doveve importare di quell’altra? lei, sua moglie, lei?!... Oh, non capiva dunque come l’amava? come era diverso l’amore per lei, la fiducia in lei, il bene immenso e alto che le voleva?! che le aveva voluto?... Adesso non più, s’intende, adesso era finita: tutto quel dolce passato infangato, non più un ricordo santo, non più una dolcezza vera da rigustare con la memoria, non più un’ora d’intimi colloqui da cuore a cuore, nella piena fede dell’intelletto che c’intende, dell’anima che ci ama... Che porta era quella? Ebbene, sì! giacchè senza avvedersene era tornato a casa, giacchè la sorte lo riconduceva da lei, saprebbe il vero finalmente; doveva, voleva sapere. Mise la chiave nella toppa ed entrò.

Mezz’ora innanzi, lei era corsa a rinchiudersi in camera sua, con la febbre. Pallida, le labbra tremanti, stretta la gola da un singhiozzo che l’orgoglio ricacciava indietro ostinatamente, andava ripetendo a bassa voce, con la concitazione dello smarrimento: — Infame!... Infame!... — e quasi ad inacerbire quell’angoscia intensa che già provava, rievocava il passato, le promesse, le carezze appassionate, le lunghe conversazioni piene di fiducioso abbandono, confessioni di pensieri segreti, di aspirazioni intime, d’idee strane e formulate appena, in nebbia, nella propria mente. Poi tutte le vanità ch’essa aveva saputo schiacciare, le seduzioni cui essa avevo potuto resistere, le battaglie