Pagina:Poesie complete di Vittoria Aganoor, Firenze, Le Monnier, 1912.djvu/490

glio!... Che cosa mai poteva sperare di più comodo, di più delizioso?... Vero o no, d’ora in avanti, più nessun riguardo: non lo aveva tradito anche lei?... non s’era fatta sposare senz’amarlo... amandone un’altro?... E forse l’altro non l’aveva voluta sposare... E lui?... lui s’era lasciato illudere da quella sua aria di candore... e tutto era stato falso?... Che gl’importava?... Tanto meglio!...

Passò dinanzi un teatro: dalla gran porta uscivano e fluttuavano nell’aria fresca dell’aprile, tepide emanazioni di buon tabacco di Smirne e di Tabasco, miste ai mille profumi indefinibili che si lascian dietro le belle signore impellicciate e ridenti. Una folata fragrante passò sul volto di Guido, ma la scena che gli suscitò in mente di palchetti e di luce, di dame ingioiellate, di falsi sorrisi e di false parole, tutte le nauseanti commedie della commedia mondana, fu stranamente fuggevole, e lasciò subito il posto a una più dolce visione...

Là, tra quelle colline, in quell’angolo cheto di mondo, in quel viale di vecchie querce, s’eran dette le parole sante che il cuore non dimentica più. Non deliri, non ebbrezze spensierate, ma il forte, il serio sentimento di due cuori buoni, di due intelligenze robuste che s’incontrano, s’intendono, si stimano, e s’amano anche per questo. Quanti ostacoli avevan dovuto superare, quanti dubbi, quanti affanni, quante speranze rotte prima di raggiungere quella mèta cara! E lui, quando fuggendo dalla città, dal rumore, dalle leggerezze mondane, giungeva a quel cantuccio di paradiso, da lei, che lo attendeva in fondo al giardino, sotto le querce e lo accoglieva sempre con quelle parole così semplici e così innamorate, le parole che sapeva dire lei sola,