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46 | INVITO D’UN SOLITARIO AD UN CITTADINO |
tre versi endecasillabi dovrebbero, per simulare perfettamente il saffico minore, avere la cesura dopo la quinta, e l’ultimo sarebbe necessario fosse non un settenario, ma un quinario e coll’accento per lo piú su la prima, al fine di imitare l’adonio. Cfr., per la storia della strofa e dell’ode saffica in Italia, il mio studio Dell’ode Alla Musa di Giuseppe Parini: Firenze, Sansoni, 1889, p. 7 e segg.
Tu che servo di corte ingannatrice1
I giorni traggi dolorosi e foschi,
Vieni, amico mortal, fra questi boschi,
4Vieni, e sarai felice.
Qui né di spose né di madri il pianto,
Né di belliche trombe udrai lo squillo2;
Ma sol dell’aure il mormorar tranquillo
8E degli augelli il canto.
Qui sol d’amor sovrana è la ragione3,
Senza rischio la vita e senza affanno;
Ned4 altro mal si teme, altro tiranno,
12Che il verno e l’aquilone.
Quando in volto ei mi sbuffa e col rigore5
De’ suoi fiati mi morde, io rido e dico:
Non è certo costui nostro nemico
16Né vile adulatore.
Egli del fango prometèo6 m’attesta
La corruttibil tempra, e di colei
Cui donaro il fatal vase gli dei7
20L’eredità funesta.
- N.B. Queste varianti sono state ricavate dalla prima stampa citata.
- 2-3. I giorni meni travagliati e foschi, Vieni, afflitto mortal,
- 5. Qui non di spose né
- 6. Né di galliche trombe
- 7. Ma sol dell’aure il susurrar
- 13. Quando in volto mi soffia e col rigore
- 19. Cui del vaso fatal fêr dono i dei
- ↑ 1. corte ingannatrice: Prometeo I, 471: «Luogo sarà nelle cittadi impuro, D’ogni vizio sentina, a cui di corte Daran nome i mortai, d’abisso i numi».
- ↑ 6. Né di belliche trombe ecc.: Tasso VII, 8: «né strepito di Marte Ancor turbò questa remota parte».
- ↑ 9. d’amor... la ragione: la legge dell’amore.
- ↑ 11. ned: Alla particella né, per sostegno della pronunzia, s’aggiunse talvolta, come qui, il d. Petrarca P. I, son. 119: «Ned ella a me per tutto il suo disdegno Torrà già mai.... Le mie speranze e i miei dolci sospiri». Tasso V, 81: «Ned ella avrà da me, se non la sdegna, Men pronta aita, o servitú men fida».
- ↑ 13. rigore: la fredda forza.
- ↑ 17. del fango prometèo: della razza umana. Prometeo (il preveggente), figlio di Climene e del titano Giapeto, avvivò, col fuoco rapito a Giove, l’uomo ch’egli aveva plasmato di creta: per che fu dal dio fatto incatenare sul Caucaso; e il fegato di lui, rinascente ogni notte, divorava di giorno un’aquila. Cfr. Eschilo Prom. passim e Virgilio Ecl. VI, 42. Da un tale tormento fu poi liberato da Ercole. Cfr. Esiodo Teog. 521.
- ↑ 18. di colei ecc.: di Pandora, cosí chiamata, perché ebbe doni da tutti gli dei (pan: tutto; dóron; dono): da Venere, la bellezza; da Mercurio, l’eloquenza ecc. Con un’urna chiusa, che Giove