Pagina:Poesie (Monti).djvu/43


AL PRINC. DON SIGISMONDO CHIGI 27

     Disperato desío. Ritto su i piedi
     Stommi, ed allargo le tremanti braccia
     Inclinandomi verso la vorago.
     L’occhio guarda laggiuso, e il cor respira;
     190E immaginando nel piacer mi perdo
     Di gittarmi là dentro, onde a’ miei mali
     Por termine, e nei vortici travolto
     Romoreggiar del profondo torrente1.
     Codardo! ancora non osai dall’alto
     195Staccar l’incerto piede, e coraggioso
     In giú col capo rovesciarmi. Ancora
     Al suo fin non è giunta la mia polve,
     E un altro istante mi condanna il fato
     Di questo sole a contemplar l’aspetto.
     200Oh! perché non poss’io la mia deporre
     D’uom tutta dignitade2, e andar confuso
     Col turbine che passa, e su le penne
     Correr del vento a lacerar le nubi,
     O su i campi a destar dell’ampio mare
     205Gli addormentati nembi e le procelle3!
     Prigioniero mortal! dunque non fia
     Questo diletto un dì, questo destino
     Parte di nostra eredità? Qualunque
     Mi serbi il ciel condizïon di spirto,
     210Perché, Gismondo, prolungar cotanto
     Questo lampo di luce4? Un sol potea,
     Un sol oggetto lusingarmi; il cielo
     Al mio desire invidïollo5, e l’odio
     Mi lasciò della vita e di me stesso.
     215Tu di Sofia cultor felice, e speglio
     Di candor6, d’amistade e cortesia,
     Tu per me vivi, e su l’acerbo caso
     Una stilla talor spargi di pianto,
     O generoso degli afflitti amico.
     220Allorché d’un bel giorno in su la sera

    brezza ecc. cosí procaccio (verbo che bisogna sottintendere e ch’è taciuto per dar maggior rapidità alla narrazione) piú scabrezza al sentiero ecc.

  1. 193. Romoreggiar ecc.: Verso imitativo, per l’acconto su la settima.
  2. 200. la mia deporre ecc.: abbandonato il corpo, divenir puro Spirito.
  3. 203. a lacerar le nubi: cfr. Bassv. c. IV, v. 101 e segg.
  4. 211. Questo lampo di luce: questa vita, detta lampo per la sua brevità. Petrarca Trionf. Tem. 61: «Che piú d’un giorno è la vita mortale, Nubilo, breve, freddo e pien di noia?»
  5. 213. invidiollo: lo tolse. Latinismo (cfr., p. e., Orazio Od. IV, 1, 24), ch’è d’uso nella poesia italiana antica e moderna. Dante Inf. xxvi, 23: «se stella buona o miglior cosa M’ha dato il ben, ch’io stesso nol m’invidi». Tasso VII, 15: «Se non t’invidii il ciel sì dolce stato, De le miserie mie pietà ti mova». E XVI, 61: «Chiudesti i lumi, Armida: il cielo avaro Invidiò il conforto a i tuoi martiri.». Cfr. anche Foscolo Sepol., 24 ecc.
  6. 215. di Sofia: della filosofia. — speglio: specchio,