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AL PRINC. DON SIGISMONDO CHIGI 23

     E agli oggetti rendea piú vivi e freschi
     35I color che rapiti avea la sera;
     Dall’umile mio letto anch’io sorgendo,
     A salutarlo m’affrettava, e fiso
     Tenea l’occhio a mirar come nascoso
     Di là dal colle ancora ei fea da lunge
     40Degli alti gioghi biondeggiar le cime;
     Poi, come lenta in giú scorrea la luce
     Il dosso imporporando e i fianchi alpestri,
     E dilatata a me venia d’incontro
     Che a’ piedi l’attendea della montagna.
     45Dall’umido suo sen la terra allora
     Su le penne dell’aure mattutine
     Grata innalzava di profumi un nembo;
     E altero di sé stesso1 e sorridente
     Su i benefizi suoi l’aureo pianeta
     50Nel vapor che odoroso ergeasi in alto
     Gia rinfrescando le divine chiome,
     E fra il concento degli augelli e il plauso
     Delle create cose egli sublime
     Per l’azzurro del ciel spingea le rote2.
55Allor sul fresco margine d’un rivo
     M’adagiava tranquillo in su l’erbetta,
     Che lunga e folta mi sorgea dintorno
     E tutto quasi mi copriva: ed ora
     Supino mi giacea, fosche mirando
     60Pender le selve dall’opposta balza,
     E fumar le colline, e tutta in faccia
     Di sparsi armenti biancheggiar la rupe;
     Or rivolto col fianco al ruscelletto,
     To mi fermava a riguardar le nubi
     65Che tremolando si vedean riflesse3
     Nel puro trapassar specchio dell’onda:
     Poi, del gentil spettacolo già sazio,
     Tra i cespi, che mi fean corona e letto,
     Si fissava il mio sguardo, e attento e cheto
     70Il picciol mondo a contemplar poneami
     Che tra gli steli brulica dell’erbe,
     E il vago e vario degli insetti ammanto
     E l’indole diversa e la natura.
     Altri a torma e fuggenti in lunga fila
     75Vengono e van per via carchi di preda;

    Guatâr l’un l’altro, come al ver si guata».

  1. 48. altero di sé stesso, perché egli «è padre d’ogni mortal vita». Dante Par. xxii, 116.
  2. 54. le rote: le ruote del suo carro.
  3. 65. si