Assalito l’avea strano tumulto,
Quando a sorgere in piè le porse aita
E con la mano le soffolse1 il fianco.
Poi, seguendo, di Bauci e Filemone2 470Rammentâr l’avventura, e quel che udito
Da’ vecchi padri avean, siccome ascoso3
Fra lor nelle capanne e nelle selve
Stette a lungo Saturno, e nol conobbe
Altri che Giano. In cotal dubbio errando 475Si ritrassero entrambi, e lasciâr sola
La taciturna diva. Ella dal seggio
Si tolse allora; e due e tre volte scórse
Pensierosa la stanza, e poi di nuovo
Sospirando s’assise, e in questi accenti 480Al suo fiero dolor le porte aperse:
Donde prima degg’io, Giove crudele,
Il mio lamento incominciar? Già tempo
Fu che, superba del tuo amor, chiamarmi
Potei felice ed onorata e diva. 485Or eccomi deserta; e non mi resta
Che questo sol di non poter morire
Privilegio infelice. E fino a quando
Alla fierezza della tua consorte
Esporrai questa fronte? Il premio è questo 490De’ concessi imenei? Questi gli onori
E le tante in Ausonia are promesse,
Onde speme mi desti che la prima
Mi sarei stata delle dee latine?
Tu m’ingannasti: l’ultima son io 495Degl’immortali, ahi lassa!; e non mi fêro
Illustre e chiara che le mie sventure.
Rendimi, ingrato, rendimi alla morte,
Alla qual mi togliesti. Entro quell’onde
Concedimi perir, che la tua Giuno 500Sul mio regno sospinse, o ch’io ritrovi
Agli arsi boschi in mezzo e alle ruine
De’ miei templi abbattuti il mio sepolcro.
Cosí la Diva lamentossi, e tacque.
Era la notte, e d’ogni parte i venti 505E l’onde e gli animanti4 avean riposo,
Fuorché l’insetto5 che ne’ rozzi alberghi