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CANTO TERZO 277

     430Volea latrar; ma, sollevando il muso
     E attonite rizzando ambe le orecchie,
     Guardolla, e muto su l’impressa arena
     Ne fiutò le vestigia. In questo mentre
     Alla cara sua moglie Teletusa
     435Il buon Lica dicea: Presto sul desco
     Spiega un candido lino; e passe ulive
     Rècavi e pomi e grappoli che salvi
     Dal morso abbiam dell’aspro verno, e un nappo
     Di soave lambrusca, e s’altro in serbo
     440Tieni di meglio; ché mostrarci è d’uopo
     Come piú puossi liberali a questa
     Peregrina infelice. Allor spedita
     Teletusa si mosse, e in un momento
     Di cibo rustical coperse il desco,
     445Ed invitò la dea; la quale assisa1
     Sul limitar si stava, e immota e grave
     L’infinito suo duol premea nel petto.
     Né già tenne l’invito, ché mortale
     Corruttibil vivanda non confassi
     450A palato immortal; ma ben di trito
     Odoroso puleggio2 e di farina
     D’acqua commisti una bevanda chiese3,
     Grata al labbro de’ numi, e l’ebbe in conto
     Di sacra libagion. Forte di questo
     455Meravigliossi Teletusa; e, fiso
     Di Feronia il sembiante esaminando
     (Poiché al sesso minor diero gli dei
     Curïose pupille e accorgimento
     Quasi divin), sospetto alto la prese,
     460Che si tenesse in quelle forme occulta
     Cosa piú che terrena. Onde, in disparte
     Tratto il marito, il suo timor gli espose,
     E creduta ne fu; ché facilmente
     Cuor semplice ed onesto è persuaso.
     465Allor Lica narrò quel che poc’anzi


  1. 445. assisa: «Lo starsi assiso sul limitare della casa ospitale era proprio de’ supplichevoli e degli infelici profondamente oppressi dalla disgrazia. In questa situazione è rappresentata Cerere dall’autore dell’Inno attribuito ad Omero. Ed Ulisse, rientrato nelle sue case sotto le sembianze di un mendico, siede nel vestibolo: e quivi avviene il famoso combattimento tra lui ed il pezzento Iro. Vedi l’Odissea, lib. XVIII, in principio». Mg.
  2. 451. puleggio: pianticella simile alla menta.
  3. 452. «Quest’è la bevanda domandata da Cerere a Metanira (come si ha nell’Inno citato piú sopra alla nota al v. 445) dopo ch’ella ebbe rifiutato «Di dolcissimo vin colma una tazza», dicendo «... Non per lei Il rubicondo vino esser bevanda». (Trad. di Luigi Lamberti). Ivi pure è detto che la dea ebbe cotesta mistura in conto di sacra