Degli aromi celesti e de’ profumi,
Onde tal si diffuse una fragranza, 350Che tutta empiea la casa e il vasto Olimpo1.
Mentre cosí l’ire gelose in cielo
Disacerba Giunon, quai sono in terra
Di Feronia le lagrime, i sospiri?
Ditelo, d’Elicona alme fanciulle, 355Voi che l’opere tutte e i pensier anco
De’ mortali sapete e degli dei.
Poi che si vide l’infelice in bando
Cacciata dal natío dolce terreno,
D’are priva e d’onori, e dallo stesso 360(Ahi sconoscenza!) dallo stesso Giove
Lasciata in abbandono; ella dolente
Verso i boschi di Trivia2 incamminossi,
E ad or ad or volgea lo sguardo indietro
E sospirava. Sul piè stanco alfine 365Mal si reggendo, e dalla lunga via
E piú dal duolo abbattuta e cadente3,
Sotto un’elce s’assise: ivi, facendo
Al volto letto d’ambedue le palme,
Tutta con esse si coprí la fronte, 370E nascose le lagrime, che mute
Le bagnavan le gote, e le sapea4
Solo il terren che le bevea pietoso.
In quel misero stato la ravvolse
Dell’ombre sue la notte; e in sul mattino 375Il sol la ritrovò sparsa le chiome5
E di gelo grondante e di pruina;
Perocché per dolor posta in non cale
La sua celeste dignitade avea,
Onde al corpo divin l’aure notturne 380Ingiurïose e irriverenti furo
Siccome a membra di mortal natura.
Lica intanto, di povero terreno
Piú povero cultor, dal letticciuolo
Era surto con l’alba, e del suo campo 385Visitando venía le orrende piaghe
Che fatte avean la pioggia, il ghiaccio, il vento
Agli arboscelli, ai solchi ed alle viti.
Lungo il calle passando ove la diva