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CANTO TERZO 269

     Tanta mole di flutti ora sospinse,
     Placata scorrerà del Lazio i lidi.
     135Ivi su l’ara Sospita1 le genti
     L’invocheranno; ed ella, il fianco adorna
     Delle pelli caprine e dentro il fumo
     De’ lanuvini sacrificii avvolta,
     Tutti a mensa accorrà d’Ausonia i numi
     140Cortesemente, e porgerà di pace
     A Feronia l’amplesso: onde, già fatte
     Entrambe amiche, toccheran le tazze
     Propinando a vicenda, e in larghi sorsi
     L’obblío berran delle passate cose.
     145Va dunque, e sí le parla. Il suo pensiero
     Volga in meglio l’altera, e alle sue stanze
     Rieda in Olimpo; ché l’andar vagando
     Piú lungamente in terra io le divieto.
     E se niega obbedir, tu le rammenta
     150Le incudi un giorno al suo calcagno appese2;
     E dille che la man che ve le avvinse
     Non ha perduta la possanza antica.
Disse; e Mercurio ad eseguir del padre
     Il precetto s’accinse. E pria l’alato
     155Petaso al capo adatta ed alle piante3
     I bei talari, ond’ei vola sublime
     Su la terra e sul mare e la rattezza
     Passa de’ venti. Impugna indi l’avvinta
     Verga di serpi, prezïoso dono
     160Del fatidico Apollo il dí che a lui
     L’argicida fratel cesse la lira4:
     Con questa verga, tutta d’oro in vita
     Ei richiama le morte alme, ed a Pluto


    togatam.

  1. 135. Sospita: «Giunone Lanuvina (cosí chiamata da Lanuvio, città e municipio del Lazio dov’ella era particolarmente venerata), la quale è detta anche Sospita o Sispita, cioè Salvatrice, viene rappresentata in diverse medaglie ed in una statua del Museo Pio Clementino (descritta ed illustrata nel tom. II, tav. XXI, colla sua maravigliosa erudizione da E. Q. Visconti) colla testa coperta da una pelle di capra, le cui zampe davanti le si allacciano sul petto ed il rimanente discende intorno al busto fino ad essere legato sui fianchi da una larga cintura». Mg. Cfr. anche Cicerone De Nat. D. I, 29.
  2. 149. tu le rammenta ecc.: In Omero (Iliad. XV, 23: trad. M.) Giove dice a Giunone: «E non rammenti il dí ch’ambe le mani D’aureo nodo infrangibile t’avvinsi, E alla celeste volta con due gravi Incudi al piede penzolon t’appesi?» Questo soggetto dipinse il Correggio nel monastero di S. Paolo in Parma.
  3. 155. Petaso: specie di cappello, munito di ali. — ed alle piante ecc.: Omero (Odiss. V, 55; trad. Pindemonte) «Al piede S’avvinse i talar belli, aurei, immortali, Che sul mare il portavano, e su i campi Della terra infiniti a par del vento. Poi l’aurea verga nelle man recossi, Onde i mortali dolcemente assonna, Quanti gli piace, e li dissonna ancora». Cfr. anche XXIV, 1 e Virgilio En. IV, 238.
  4. 161. L’argicida fratel: Mercurio stesso, uccisore d’Argo. — lira: cfr. la nota al v.