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240 | LA FERONIADE |
Del marito in Olimpo: alto il silenzio
Dei talami divini: inoltre mute
Della foresta dodonea le querce,
Cheti i tuoni dell’Ida, e dissipato
520Il denso fumo che facea palese
La presenza del nume. Onde, turbata
In suo sospetto, alle nevose cime
Dell’Olimpo salita, in giú rivolse
L’attento sguardo, e ricercò l’infido
525Sul mar sidonio, sul nonacrio1 giogo,
Sull’Ismen, sull’Asopo2, ove sovente
Delle vaghe mortali amor lo prese.
Indi in Ausonia declinando i lumi,
D’Ansuro nereggiar sul balzo vide
530Tale un nugolo denso che per vento
Non si movea di loco, ancorché tutta
Fosse in moto la selva. A cotal vista
Le si ristrinse il cor: le corse un gelo
Per le membra immortali, e si fêr truci
535I neri sopraccigli. Immantinente
Iri a sé chiama, e: Prestami, le dice
Su via prestami, o fida, il tuo piovoso
Arco d’oro e di luce. E, sí dicendo
Né risposta aspettando, entro si chiude
540A’ taumanzii3 vapori, e taciturna
Su le rupi setine si precipita.
Tocca pur anco non avea la terra
Co’ leggieri vestigi, che levarsi
L’invisibile dea l’aquila vide,
545L’aquila testimon del dio marito;
E sotto l’ombra delle grandi penne4
Furtiva e cheta camminar la nube
E tra le piante dileguarsi. A lei
519. E cheti d’Ida i tuoni, e dissipato
521. La presenza di Giove. Onde, turbata
522. E sospettosa, alle
524. sguardo, e sul sidonio mare L’infido ricercò, sul Taigeto,
528. Indi all’Ausonia
532-33. A cotal vista Nella memoria le tornò la nube Che fuor del grembo su l’inachia riva La mentita giovenca un giorno mise: Le si ristrinse il cor
543. Co’ fragranti vestigi
546. delle larghe penne