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CANTO PRIMO 229

     Per infinite variate guise
     Spiegò la pompa della sua ricchezza?
     190Alle ben nate piante peregrine,
     Qual d’arabo lignaggio e qual d’assiro,
     Qual dall’Indo venuta e qual dal Nilo,
     L’italo suolo arrise e sue le fece;
     Sí che in lor della patria e della prima
     195Origine il ricordo oggi è perduto.
     Tanto è l’amor del nuovo cielo, e tanta
     Fu la cura di lei, che nel ben chiuso
     Suo viridario1 ad educarle prese,
     Or con arte confuse, ed or disposte
     200In bei filari, come stral diritti,
     Rallegrando di molli ombre i sentieri2.
Ecco schiuder dal seno i bei rubini,
     A Minerva e a Giunon pianta gradita,
     E a Cerere cagion d’alto disdegno,
     205Il coronato melagrano3, e tutti
     Adescar gli occhi ed invitar le mani.
Ecco il melo4 cidonio alle gibbose
     Sue tarde figlie di lasciva e molle
     Lanugine vestir le bionde gote,
     210Del cui fragrante sugo hanno in costume
     Le amorose donzelle in Orïente
     Nudrir la bocca ed il virgineo fiato,
     Quando la face d’Imeneo le guida
     Di bramoso garzone ai caldi amplessi.
     215Vedi il perso arboscel5, che i rosei frutti
     Ne mostra di lontan; vedi il fratello

    di Dante (Purg. vii, 81).

  1. Viridario: giardino (lat.).
  2. Rallegrando ecc.: Verso che tiene un po’ di quel del Foscolo (Sep., 40);: «Le ceneri di molli ombre consoli».
  3. melagrano: «L’uso della melagrana era interdetto nelle feste di Cerere legifera dette Tesmoforie e ne’ Misteri Eleusini, perché questo frutto era stato cagione che Cerere non avesse riavuta sua figlia Proserpina rapita da Plutone. Ché, accordata la restituzione di lei, a patto che nell’-inferno non avesse guatato cibo, Ascalafo appalesò di averla veduta inghiottire alcuni semi di melagrana onde dovette rimanersi col rapitore (Cfr. Ovidio ’Metam. V, 509, Fast. IV, 67; Inno a Cerere attrib. ad Omero, 372 ecc.). D qui l’odio di Cerere per questa pianta. la quale per altro era consacrata a Giunonoe ed a Minerva». Mg.
  4. Ecco il melo ecc.: «Del pomo detto cdonio da Cidone città di Creta, ora chiamato cotogno, ragiona Plinio nel lib. XV. 11. Ed Ateneo nel terzo de’ Dipnosofisti racconta, sulla fede di Filarco, che la cotogna colla soavità del suo odore ha la facoltà di render nullo l’effetto de’ veleni. Gli antichi ne usavano per dar fragranza al fiato; onde Solone (al dire di Plutarco, Praecept. connubi.) aveva ordi- nato nelle suo leggi che gli sposi nel primo giorno delle nozze mangiassero di questa mela prima di coricarsi, certamente per indicare che la prima grazia della bocca e della voce debb’essere condita di piacevolezza e di soavità». Mg.
  5. il perso arboscel: «Il persico chiamato Malus persica, perché credevasi trasportato in Italia dalla Persia». Cfr. Plinio St. N. XV, 12. «Il suo fratello detto d’armena stirpe è quello che or chiamano Meliaco, e che i Latini dicevano Malus armeniaca dall’Armenia d’onde