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LE API PANACRIDI IN ALVISOPOLI | 197 |
Germe divin, comincia1
A ravvisarla al riso,
Ai baci, ai vezzi, al giubilo
108Che le balena in viso.
La collocâr benefici
Sul maggior trono i numi.
Ridi alla madre, o tenero;
112Apri, o leggiadro, i lumi.
Ve’ che festanti esultano
Alla tua culla intorno
Le cose tutte, e limpido
116Il sol n’addoppia il giorno.
Suonar d’allegri cantici
Odi la valle e il monte,
Susurrar freschi i zefiri,
120Dolce garrir la fonte.
Stille2 d’eletto balsamo
Sudan le querce annose:
Ogni sentier s’imporpora
124Di mammolette e rose.
Tale il sacro incunabolo3
Fioría di Giove in Ida:
Ed ei, crescendo al sonito
128Di rauchi bronzi e grida,
Rompea le fasce; e all’etere
Spinto il viril pensiero,
Già meditava il fulmine,
132Signor4 del mondo intero.
112. Volgi, o leggiadro, i lumi.
- ↑ 105. comincia ecc.: Virgilio Ecl. IV, 60: Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem.
- ↑ 121. Stille ecc.: Manzoni Il Nat., 40: «Stillano mèle i tronchi; Dove copriano i bronchi, ivi germoglia il fior»
- ↑ 125. incunabolo: culla (lat.)
- ↑ 132. Signor ecc.: È apposizione ad ei, cioè a Giove
siano freno le miti virtú della madre.
SOPRA SÉ STESSO
Contenuto: Viltà dice al poeta: eccoti (bel frutto del troppo studio!) quasi cieco (1-4). Ed egli risponde: se l’occhio corporale è spento, brilla piú l’occhio intellettivo e abbraccia in sé l’universo (5-8). Cosí governo, a mio senno, il mondo (5-11); e se considero il perdersi nel nulla di tutto il fasto mortale, guardo e sorrido (12-14). — Questo bel sonetto, che lo (p. 249) cfr. opportunamente con un luogo del Paradiso perduto (III, 39 e segg.), fu composto nel 1822 e pubblicato lo stesso anno nell’opuscolo Un sollievo nella