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CANTO TERZO | 157 |
Come trasse vicino1, alzò la faccia,
Gl’insubri ravvisò spirti diletti;
E mosse, prima che il parlar, le braccia.
Allor si vide con amor tre petti2
215Confondersi e serrarsi, ed affollarse
Gli uni su gli altri d’amicizia i detti.
Lo stringersi a vicenda e il dimandarse
Tra quell’alme finito ancor non era,
Che di note sembianze altra3 n’apparse;
220E corse anch’ella, ed abbracciò la schiera
Concittadina. Il volto avea negletto,
Negletta la persona e la maniera:
Ma la fronte, prigion d’alto intelletto,
Ad or ad or s’infosca, e lampi invia
225Dell’eminente suo divin concetto.
Scrisse quel primo l’alta economia
Che i popoli conserva, e tutta svolse
Del piacer la sottile anatomia.
Intrepido a librar l’altro si volse
230I delitti e le pene, ed al tiranno
L’insanguinato scettro di man tolse.
Poscia che le accoglienze, onde si fanno
Lieti gli amici, s’iterâr fra questi4
Che fur primieri tra color che sanno5,
235Disse Parini: Perché irati e mesti
Son tuoi sguardi, o mio Verri? Ed ei rispose:
Piango la patria; e chinò gli occhi onesti.
E anch’io la piango, anch’io, con sospirose
Voci soggiunse Beccaria: poi mise
240Su la fronte la mano, e la nascose.
Di duol che sdegna testimon conquise
Vide Borda quell’alme, e in atto umano
Disse a tutte: Salvete; e si divise6.
Col salutar degli occhi e della mano
245Risposer quelle, e in preda alla lor cura
- ↑ 211. Come trasse vicino: non appena s’avvicinò.
- ↑ 214. tre petti: quelli «del Mascheroni, del Parini e del Verri.
- ↑ 219. altra: quella di Cesare Beccaria (1738-1784), milanese, che scrisse Dei delitti e delle pene, ove primo gridò contro la tortura e la pena di morte.
- ↑ 232. Poscia che ecc.: Dante Purg. vii, 1: «Poscia che l’accoglienze oneste e liete Furo iterate tre e quattro volte. ...».
- ↑ 234. Che fur primieri ecc.: Dante (Inf. iv, 131) saluta Aristotile «il maestro di color che sanno».
- ↑ 243. «Finissima interpretazione di un cuore delicato e generoso. Il celebre matematico francese, benché legato d’amicizia fraterna col Mascheroni, e onorato come uno dei loro dagli altri compagni, si ricordava di esser pur sempre uno straniero in mezzo ad Italiani, e che, pur amando l’Italia, non poteva amarla come questi. Intendeva quanto ci fosse di solenne, di santo e, direi, di geloso nel dolore dei figliuoli che piangevano il danno della madre comune: dolore a cui poteva esser conforto unico il non avere
cia».