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136 IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI

     Non vil plettro1 il mio duol fu manifesto. —
— Io di quassú l’intesi, o pellegrino
     140Canoro spirto; e desïai che ratto
     Fosse il vol che dovea farti divino2. —
— Anzi tempo, lo vedi, fu disfatto
     Laggiú il mio frale. — Il veggo, e nondimeno
     «Qual di te lungo qui aspettar s’è fatto!» —
145Cosí, confusi l’un dell’altro in seno,
     E alternando il parlar, spinser le piume
     Là dove fa la lira il ciel sereno;
D’Orfeo la lira3, che il paterno nume
     D’auree stelle ingemmò, mentre volgea4
     150Sanguinosa la testa il tracio fiume,
E, misera Euridice, ancor dicea
     L’anima fuggitiva, ed Euridice,
     Euridice, la ripa rispondea.
Conversa in astro quella cetra elíce5
     155Sí dolci suoni ancor, che la dannata
     Gente gli udendo si faría felice.
Giunte a quell’onda d’armonia beata
     Le due celesti peregrine, un’alma
     Scoprîr che grave al suon si gode e guata;
160Sovra un lucido raggio assisa in calma,
     L’un su l’altro il ginocchio e su i ginocchi
     L’una nell’altra delle man la palma.
Torse ai due che veniéno i fulgid’occhi,
     Guardò Lorenzo, e in lei del caro aspetto
     165Destârsi i segni dall’obblio non tocchi.
Non assurse però; ma con diletto
     La man protese, e balenò d’un riso6
     Per la memoria dell’antico affetto.
E ben giunto, lui7 disse: alfin diviso
     170Ti se’ dal mondo, da quel mondo u’ solo
     Lieta è la colpa ed il pudor deriso.

    cfr. la nota al v. 124.

  1. 138. plettro: specie di verghetta per sonar la lira, con l’armonia della quale s’accompagnava in antico la recitazione de’ versi. Qui, per i versi stessi.
  2. 141. il vol ecc.: la morte.
  3. 148. D’Orfeo la lira: cfr. la nota al v. 8, p. 30.
  4. 149. mentre volgea ecc.: Virgilio Georg. IV, 523: Tum quoque, marmorea caput a cervice revulsum Gurgite quum medio portans Oeagrius Hebrus Volveret, Eurydicen vox ipsa et frigida lingua, Ah miseram Eurydicen! anima fugiente vocabat. Eurydicen toto referebant flumine ripae.
  5. 154. elíce: trae fuori. Unica forma derivata alla poesia italiana dal verbo latino elicere. Cfr. Tasso IV, 77; Parini Od. IV, 138 ecc.
  6. 167. balenò d’un riso: Paragonare al lampo e al baleno il riso è, come dimostrai altrove, cosa comune a’ nostri poeti. Cfr. Dante Purg. xxi, 114; Petrarca P. II, son. 24; Poliziano St. I, 30; Tasso IV, 91; XVIII, 13; XIX, 70 e Aminta II, 2; Parini Od. IV, 9 e XVII, 62 ecc.
  7. 169. lui: a lui. Questa elissi della preposizione è frequentissima in Dante. Cfr., p. es., Inf. i, 81; vii, 67; xix, 89; Purg. i, 52; viii, 58 ecc.