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CANTO PRIMO 131

com’è naturale, opposti. Sono versi «da fare spiritare i cani». Ne vegga, chi vuole, un saggio in Vicchi VI, p. 298. L’Inferno del L. fu edito in Milano da Luigi Veladini nel 1801. — Lo Zumb., al quale sembra che la Mascher. «sia da anteporre a tutti gli altri primi poemi del M.», quantunque levasse «minor grido ed ancor oggi sia meno letta» della Bassvilliana, scrive (e son parole giustissime) a p. 182: «Tanto in proposito dell’Italia, quanto della Francia, egli nella «Mascheroniana» ebbe l’intuizione piú schietta che si avesse mai avuto della verità storica, e ne fece un’interpretazione non meno schietta e felice». — Il metro è la terza rima: cfr. la nota d’introduzione a p. 10.


Come face1 al mancar dell’alimento
     Lambe gli aridi stami, e di pallore
     Veste il suo lume ognor piú scarso e lento;
E guizza irresoluta, e par che amore
     5Di vita la richiami, infin che scioglie
     L’ultimo volo e sfavillando muore2:
Tal quest’alma gentil3, che morte or toglie
     All’italica speme e su lo stelo
     Vital, che verde ancor fioría, la coglie,
10Dopo molto affannarsi entro il suo velo4
     E anelar stanca su l’uscita, alfine
     L’ali aperse e raggiando alzossi al cielo.
Le virtú, che diverse e pellegrine
     La vestîr mentre visse, il mesto letto
     15Cingean, bagnate i rai, scomposte il crine5:
Della patria l’amor santo e perfetto,
     Che amor di figlio e di fratello avanza.
     Empie a mille la bocca, a dieci il petto:
L’amor di libertà, bello se stanza
     20Ha in cor gentile, e, se in cor basso e lordo,
     Non virtú, ma furore e scelleranza:
L’amor di tutti, a cui dolce è il ricordo
     Non del suo dritto, ma del suo dovere,
     E l’altrui bene oprando al proprio è sordo:
25Umiltà, che fa suo l’altrui volere:
     Amistà, che precorre6 al prego e dona,

  1. 1. Come face ecc.: Petrarca Trionf. d. Mor. I, 162: «Se n’andò in pace l’anima contenta; A guisa d’un soave e chiaro lume Cui nutrimento a poco a poco manca...». Ariosto XXIV, 85: «E finí come il debol lume suole, Cui cera manchi, od altro in che sia acceso». Marino (Adone VII, 54), descrivendo la morte d’un usignuolo: «Cosi qual face che vacilla e manca, E maggior nel mancar luce raddoppia, Da la lingua che mai ceder non volse, Il dilicato spirito si sciolse».
  2. 6. e sfavillando muore: Tasso XIX,22: «Come face rinforza anzi l’estremo Le fiamme, e luminosa esce di vita...».
  3. 7. quest’alma ecc.: il Mascheroni.
  4. 10. velo: corpo. Cfr. la nota al v. 64, p. 128.
  5. 15. bagnate i rai ecc.: accus. di relazione. Cfr. la nota al v. 26, p. 3.
  6. 26. precorre, «Ché quale aspetta prego e l’uopo vede, Malignamente già si metto al nego». Dante