Pagina:Poesie (Monti).djvu/146

130 IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI

d’introduzione a p. 125), perdé gli stipendi che godeva, e non avrebbe saputo come vivere, se il Lagrangia non l’avesse fatto nominare professore in un collegio di quella città con 1300 lire di stipendio, vitto e alloggio. Morí nel 19 luglio 1800, poco piú d’un mese dopo la battaglia di Marengo, senza aver potuto rivedere l’Italia. Le principali sue opere poetiche sono queste: L’invito, ch’egli, sotto il nome arcadico di Dafni Orobiano, mandò alla poetessa Lesbia Cidonia (contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi di Bergamo) per ricordarle la promessa fattagli di visitarlo in Pavia, ove le avrebbe mostrato gli splendidi musei universitari (prima ediz.: Pavia, Comino, 1793); un sermone, pubblicato nel ’79, Su la falsa eloquenza del pulpito; un’elegia latina composta nel ’99 per la morte del grande matematico francese Bartolommeo Borda ecc. ecc.; e le scientifiche, queste altre: Nuove ricerche su l’equilibrio delle volte, che, pubblicate nell’85, gli fruttarono la cattedra universitaria; Problemi per gli agrimensori con varie soluzioni (1793), Geometria del compasso (1797), ch’egli dedicò, con un’epistola in versi sciolti, a Napoleone; Annotazioni al calcolo integrale di Eulero ecc. ecc. — La morte di questo personaggio e il suo transito al cielo è il soggetto fondamentale di questa cantica, che fu composta subito nell’800, e della quale i primi tre canti furono pubblicati in Milano, per le stampe del Genio tipografico, anno IX (1801), e tutti e cinque i canti interi a Capolago, tipografia Elvetica, nel 1831. — Alla cantica il M. prepose queste vere e magnanime parole: «Ben provvide alla dignità delle Muse quella legge del divino Licurgo, la quale vietava l’incidere non che il cantar versi sulla tomba degli uomini volgari, non accordando questo alto onore che alle anime generose e della patria benemerite. Non sarò dunque, spero, accusato di aver violato il decoro di questa legge prendendo a cantare di L. M. di Bergamo. Insigne matematico, leggiadro poeta ed ottimo cittadino, egli ha giovato alla patria illustrandola co’ suoi scritti, conquistando nuove e peregrine verità all’umano intendimento, provocando con gli aurei suoi versi il buon gusto nella primogenita e piú sacra di tutte arti, nella quale son pochi tuttavia i sani di mente e molti i farnetici e ciurmadori; egli ha giovato finalmente alla patria lasciandole l’esempio delle sue virtú; beneficii tutti meno strepitosi, gli è vero, ma piú cari e d’assai piú durevoli che tanti altri partoriti o per valore di armi o per calcoli di mercantile e sempre perfida e scellerata politica. Le repubbliche greche e la romana son morte; il tempo ha divorate le conquiste di Alessandro e di Cesare; pochi anni bastarono a distruggere il frutto delle famose giornate di Maratona e di Salamina: ma durano tuttavia per conforto dell’umanità i divini precetti di Socrate; e la luce uscita dalle selve dell’Accademia e del Tuscolo, superata la caligine e i delitti di tutti i secoli, illumina ancora e illuminerà eternamente gli umani intelletti, perché la verità sola e la virtú sono immortali. — Ma ti sei tu proposto, dirà taluno, di piangere qui soltanto la perdita del tuo amico? Nol so: le cagioni del piangere sono tante. Guai a colui che a’ dí nostri ha occhi per vedere e non ha cuore per fremere e lagrimare! Lettore, se altamente ami la patria e sei verace italiano, leggi: ma getta il libro, se per tua e nostra disavventura tu non sei che un pazzo demagogo o uno scaltro mercatante di libertà». — Giuseppe Lattanzi, uno de’ piú severamente sferzati in questa cantica (cfr. la nota al v. 198 del c. I), fece, in opposizione alla Mascher., un poema che intitolò Inferno, con le stesse rime del M., ma di sentimenti,