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il timone 71

Io non so che, lasciai, quando alla fune
diedi, lo stolto che pur fui, la scure;
nell’antro a mare ombrato da un gran lauro,
nei prati molli di viola e d’appio,
o dove erano cani d’oro a guardia,
immortalmente, della grande casa,
e dove uomini in forma di leoni
battean le lunghe code in veder noi,
o non so dove. E vi ritorno. Io vedo
che ciò che feci è già minor del vero.
Voi lo sapete, che portaste al lido
negli otri l’orzo triturato, e il vino
color di fiamma nel ben chiuso doglio,
che l’uno è sangue e l’altro a noi midollo.
E spalmaste la pece alla carena,
ch’è come l’olio per l’ignudo atleta;
e portaste le gomene che serpi
dormono in groppo o sibilano ai venti;
e toglieste le pietre, anche portaste
l’aerea vela; alla dormente nave,
che sempre sogna nel giacere in secco,
portaste ognun la vostra ala di remo;
e ora dunque alla ben fatta nave
che manca più, vecchi compagni? Al mare
la vecchia nave: amici, ecco il timone.
     Così parlò tra il sussurrìo dell’onde.