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30 | le memnonidi |
Io sì t’amava, e ti ricordo, molle
della mia guazza la criniera fulva,
nella lontana Ftia ricca di zolle:
nei boschi, invasi dall’odor di lauro,
del Pelio: lungo lo Sperchèo, tra l’ulva
pesta dall’ugne del tuo gran Centauro.
Io ti mostrava là su l’alte nevi
i foschi lupi che notturni a zonzo
fiutaron l’antro dove tu giacevi:
e tu gettavi contro loro incauto
la voce ch’ora squilla come bronzo,
allor sonava come lidio flauto.
Io ti vedeva predatore impube
correre a piedi, immerso nella tua
anima azzurra come in una nube;
io, rosseggiando, e con la bianca falce
la luna smorta, vedevam laggiù
correre un uomo dietro una grande alce.
E meco c’era Memnone, che un urlo
dal ciel mandava ai piedi tuoi veloci.
Tu li credevi di laggiù le voci
forse della palustre oca o del chiurlo.