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la cetra d’achille 23

non sì che, urtando nel pulito seggio,
non mettesse, tremando, ella uno squillo.
Poi tacque, in mano dell’aedo, anch’ella.
Allora, stando, il pari a un dio Pelide
udì ringhiare i suoi grandi cavalli,
intese Xantho favellar com’uomo,
e parlar della sua morte al fratello,
Folgore, che gli rispondea nitrendo.
Allora udì su lui piangere il mare,
pianger le figlie del verace Mare,
lui, così bello, lui così nel fiore;
e molte con un improvviso scroscio
venir per trarlo via con sé; ma in vano.
E vide nella sacra notte il fato
suo, che aspettava alle Sinistre Porte,
come l’auriga asceso già sul carro,
la sferza in pugno, che all’eroe si volge,
sopragiungente nel fulgor dell’armi.



VI



     E il vecchio disse le parole alate:
Lascia ch’io vada senz’indugio, e porti
meco la cetra, che non forse il cuore
nero t’inviti a piangere, su questa
cetra di glorie, l’ancor vivo Achille.
Lascia che pianga e mare e terra e cielo;
tu no. Non devi inebbriar di canto
tu, divo Achille, l’animo sereno
che sa, non devi a te celare il fato,
non che ti volle ma che tu volesti.
Restaci grande, o Peleìade Achille!