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in occidente | 207 |
e gracidare. Erano cigni a schiera
sul patrio fiume... No: su l’Esquilino
erano corvi in una nube nera...
Ei tesseva e stesseva il suo destino:
vedea sua madre; poi sentia la voce
del banditore: apriva al suo bambino
le braccia, e le sentia fitte alla croce.
Roma dormiva. Uno vegliava, un Geta
gladïatore. Egli era nuovo, appena
giunto: il suo piede, bianco era di creta.
L’avean, col raffio, tratto dall’arena
del circo; e nello spolïario immondo
alcun nel collo gli aprì poi la vena.
Rantolava: il silenzio era profondo:
il cader lento d’una goccia rossa
solo restava del fragor del mondo.
Ma d’uomini gremita era la fossa
in cui giaceva. All’occhio suo, tra un velo,
parea scoprirne e ricoprirne l’ossa.
Ed era solo, e l’uomo che col gelo
lo pungea di sua cute, più lontano
gli era del più lontano astro del cielo: