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182 tiberio

Dal ciel lontano a quel vagito lento
egli era accorso; ma nell’infinito
ansar di tutto, dopo lo spavento,


risuona ancora quel lento vagito.



III



Chi vagisce, è Tiberio. E il vento accorre
dal ciel profondo tuttavia; spaura
le nubi in fuga, e sbocca dalle forre.


Le selve il mormorìo della congiura
mutano in urlo, e gli alberi giganti
muovono orridi in una mischia oscura.


Lottano i pini coi disvincolanti
frassini, e l’elci su la stessa roccia
coi faggi urtano i vecchi tronchi infranti.


E il fiore della fiamma apresi e sboccia.



IV



Sboccia la fiamma, e il vento la saetta,
come una frusta lucida e sonante,
via per ogni pendìo, per ogni vetta.


Il vento con la frusta fiammeggiante,
col mugghio d’una mandrïa di tori,
cerca il vagito del fatale infante.