Pagina:Poemi conviviali (1905).djvu/191


l’inno nuovo 171

venuti dall’Euxanti-
d’isola dia, facemmo
     chiara coi canti
nostri, noi coro adorno
     di settanta ghirlande:


ed or la musa indigena
suscita il dolce strepito
     di tibie lyde
per onorar d’un inno
     il tuo figlio, o Panthide!



     Udì Panthide, e il cuor batté più forte
contro la manna delle sue cicute.
Ora poteva sciogliere la vita
felicemente, come alcuno un fascio
d’erbe e di fiori che nel giorno colse,
sfa, su la sera, che ne fa ghirlanda,
tornato a casa. Ché dei cinque figli
niuno lasciava senza lode in terra.
Gli avea ben fatto il Sole, e dalle Grazie
avea sortito ciò che all’uomo è meglio.
Ammirato dagli uomini mortali
tornava a casa, per pestare, il saggio
medico, l’erbe nel mortaio di bronzo.
E la notte era dolce, aurea; tranquillo
era il suo cuore. Ché il Panthide nuovo
s’era acquetato sul materno petto,
e il forte Argeo, stanco di mare e gioia,
dormiva, già sognando altre corone.
Buona, la sorte! buona! Ché concesso
non gli era mica di salire al cielo!