«Hyllo, che vedi?» «Un buon Sileno vecchio.»
«Che dice?» «Dice che andrà via, che il morto
non sarà lui: seppelliranno un altro.»
Il sole in tanto ritraeva i raggi
dai bianchi templi della sacra Atene.
Sola splendea la cuspide dell’asta
che aveva in mano la gran Dea di bronzo.
Brillò d’un tratto e poi si spense; e il sole
calò raggiando dietro il Citerone.
«Hyllo, che vedi?» «Beve.» «La cicuta!»
«Piangono, gli altri; uno si copre il capo
con la veste, uno grida.» «Esso, che dice?»
«Dice di far silenzio, come quando
si sparge l’orzo, presso l’ara, e il sale.»
Ed era alto silenzio, che s’udiva
il passo scalzo su e giù dell’uomo,
e poi nemmeno si sentì quel passo.
«Hyllo, che vedi?» «È sul lettuccio; un altro
gli preme un piede. S’è coperto. Muore...»
«Dunque non esce?» «Ora si scopre. Dice:
Un gallo al Dio che ci guarisce i mali!»
«Che? La cicuta è un farmaco salubre?»
«Uno gli chiude ora la bocca e gli occhi.»
Dunque non parte? è sempre lì? Sì, morto.
E bisbigliando stavano i fanciulli
lungo la roccia, al buio. Ecco e la porta
s’aprì. N’usciva con singhiozzi e pianti
un vecchio, un giovinetto, altri poi molti
tristi gemendo. E dall’inconscie dita
il filo uscì con un lieve urto a Gryllo:
e il sacro uccello della notte in alto