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148 poemi di psyche

spiovente, lungi dalla nuca, all’aria,
beveva l’eco delle sue parole.
Ed ecco entrò dall’abbaino un canto
d’acute voci: «Balla, dunque, o muori!»


     E il custode dal tetro uscio i fanciulli
striduli fece lontanar nel sole,
fuor dell’ombra dei tetti e della roccia.
Ma là, nel sole, molleggiò più goffa
sul pugno a Gryllo, s’arruffò, chiudendo
aprendo gli occhi, la civetta, e i bimbi
ridean più forte. Onde il custode: «O Gryllo
figlio di Gryllo, tu che sei più savio,
dà retta. Sai: codesto uccello è sacro
alla Dea nostra, a cui tu canti l’inno
movendo nudo coi compagni nudi
per la città. La nostra Dea sa tutto,
ché gli occhi ha grigi, di civetta, e vede
con essi per l’oscurità del cielo.»
«No, che non vede» disse Hyllo «né vuole
vedere, e chiude gli occhi tondi al sole.»
«Passero, taci. Tu, Gryllo» il custode
riprese, «grande già mi sei. Conosco
tuo padre, il buono artefice di scudi.
Tu gli somigli come fico a fico.
Fa chetare le tortore ciarliere.
C’è dentro la mia casa uno che muore!»
«Chi? Questa sera?» «Al tramontar del sole!»
«Perché?» «La nave ritornò da Delo.
Ed egli vide un sogno: una vestita
di bianche vesti, che gli disse: O uomo,
il terzo giorno toccherai la terra!
E la cicuta, sì, berrà dentr’oggi.
Tra poco, o Gryllo. Che in silenzio ei muoia!»