ombre nell’ombra ella vedea passare
e dileguare: alcune col lor mite
demone andare per la via serene,
ed altre, in vano, ricusar la mano
del lor destino. Ma sfuggita ell’era
da tanti giorni al demone; ed ignota
l’era la via. Dunque si volse ad una
anima dolce e vergine, che andando
si rivolgeva al dolce mondo ancora;
e chiese a quella la sua via. Ma quella,
l’anima pura, ecco che tremò tutta
come l’ombra di un nuovo esile pioppo:
"Non la so!" disse, e nel pallor del Tutto
vanì. L’etèra si rivolse ad una
anima santa e flebile, seduta
con tra le mani il dolce viso in pianto.
Era una madre che pensava ancora
ai dolci figli; ed anche lei rispose:
«Non la so!»; quindi nel dolor del Tutto
sparì. L’etèra errò tra i morti a lungo
miseramente come già tra i vivi;
ma ora in vano; e molto era il ribrezzo
di là, per l’inquïeta anima nuda
che in faccia a tutti sorgea su nei trivi.
E alfine insonne l’anima d’Evèno
passò veloce, che correva al fiume
arsa di sete, dell’oblìo. Nè l’una
l’altra conobbe. Non l’avea mai vista.
Myrrhine corse su dal trivio, e chiese,
a quell’incognita anima veloce,
la strada. Evèno le rispose: «Ho fretta.»