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I


l’etèra



     O quale, un’alba, Myrrhine si spense,
la molto cara, quando ancor si spense
stanca l’insonne lampada lasciva,
conscia di tutto. Ma v’infuse Evèno
ancor rugiada di perenne ulivo;
e su la via dei campi in un tempietto,
chiuso, di marmo, appese la lucerna
che rischiarasse a Myrrhine le notti;
in vano; ch’ella alfin dormiva, e sola.
Ma lievemente a quel chiarore, ardente
nel gran silenzio opaco della strada,
volò, con lo stridìo d’una falena,
l’anima d’essa: chè vagava in cerca
del corpo amato, per vederlo ancora,
bianco, perfetto, il suo bel fior di carne,
fiore che apriva tutta la corolla
tutta la notte, e si chiudea su l’alba
avido ed aspro, senza più profumo.
Or la falena stridula cercava
quel morto fiore, e battè l’ali al lume
della lucerna, che sapea gli amori;
ma il corpo amato ella non vide, chiuso,
coi molti arcani balsami, nell’arca.