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100 il poeta degli iloti

Poi dal laveggio che brillava al sole
un pane trasse, che v’avea deposto,
e lo partì col buon Ascreo, dicendo:
«So ch’è più grande la metà che il tutto.»

     Finito, prima che la fame, il cibo,
mossero ancora per la via rupestre
che già scendeva. Ed ecco che lo schiavo
guardando attorno vide una bolgetta
in un cespuglio. E presala, vi scòrse
splendere dentro due talenti d’oro.
E guardò giù per il sentiero, e scòrse
lontan lontano cavalcare un uomo.
E disse: «Padre, per un po’ sul dorso
reggimi il grave tripode di bronzo,
ché n’avrei briga nel veloce corso.»
E corse, e giunse al cavalier, cui rese,
poi ch’egli suo glielo giurò, quell’oro.
Poi, trafelato, il buon Ascreo sorvenne.
«Facile t’era aver per te quell’oro!»
disse allo schiavo. E mormorò lo schiavo:
«Facile, sì: c’è poca strada al male.
Il male, o padre, è nostro casigliano.»

     Così parlando andavano, e la strada
era già piana, e si vedean tuguri
di contadini ed ammuffiti borghi.
E lor giungea da tempo uno schiamazzo
di voci, come un abbaiar di cani
lontani. E sempre lor venìa più presso.
Erano gente che in un trivio aperto
rissavano con voci aspre di cani.
E alcun di loro già brandìa la zappa,