Non rispondeva il vecchio Ascreo, ché tutto
era in pensar le mille navi in porto,
mentre sul curvo lido la procella
scotea le chiome degli Achei chiomanti.
E il sole era già caldo, e la campagna
fervea di mugli. Ché la pioggia a lungo
nei dì passati avea temprato il suolo,
e i contadini aravano le salde,
ed era tempo d’affidar le fave
ai solchi neri, e la lenticchia ai rossi.
E nudo un uomo traea giù da un carro,
presso la strada, con un suo ronciglio,
il pingue concio. E il buon Ascreo ne torse
il volto offeso. Ma lo schiavo curvo
sotto il ben fatto tripode di bronzo,
disse gioia a quel nudo uomo, e quel concio
lodò, maturo. E brontolò stradando:
«Ben fa, chi fa. Sol chi non fa, fa male.»
Ed era presso mezzodì, né casa
ora appariva, a cui cercare un dono
piccolo e caro. Ché tra rupi e cespi
di stipe in fiore essi ripìano, muti.
Taceva anche la lodola dal ciuffo;
anche il cantore. Egli tacea per l’astio
ch’altri tacesse. Ma lo schiavo andando
volgea lo sguardo alle inamene roccie.
E disse alfine: «Ecco!» E mostrò la roccia
verde, in un punto, per nascente ontano.
«C’è tutto, al mondo, ma nascosto è tutto.
Prima, cercare, e poi convien raspare.»
Egli depose il tripode di bronzo,
raspò, rinvenne un sottil filo d’acqua.