era, di bronzo; e poi l’avea, per l’anse,
sospeso al ramo ch’era suo, d’alloro;
e lo portava: ma venuto a un grande
platano, donde chiara acqua sgorgava,
sostò, già stanco. Ed era quello il fonte
dove il segno gli Achei videro, d’otto
passeri implumi, e nove con la madre.
E di passeri il platano sul fonte
garriva ancora, e il buon Ascreo li udiva,
pensando in cuore un nuovo inno di guerra.
E riprendeva già la via, col caro
tripode, in dosso, che brillava al sole,
quando sorvenne un viator che bevve;
e seguitò. Ma poco dopo «O vecchio,»
disse, «ch’io porti il tuo laveggio: è peso».
E tolse prima il tripode, che l’altro
gli rispondesse: dopo, gli rispose:
«Grave era, è grave. Ed anche tu sei vecchio».
«Ma sono schiavo» gli rispose il vecchio:
«schiavo; e dal monte Citerone io venni
menando al mare, ad una curva nave,
due bei vitelli, nati schiavi anch’essi.
Torno al padrone. Ma tu dove, o babbo?»
«Ad Ascra: ad Ascra, misero villaggio,
tristo al freddo, aspro al caldo, e non mai buono»
E non addimandato altro gli disse:
«Venni per mare, ad Aulide: ho passato
l’Euripo. Indetta a Calcide una gara
e di lotte e di corse era, e di canto.
Vinsi codesto tripode di bronzo
cantando gesta degli eroi...». «Sei dunque
rapsodo errante, e sai le false cose
far come vere, ma non dir le vere».