Pagina:Poemi (Esiodo).djvu/95


PREFAZIONE xci

piuttosto alla memoria alcune satire di Orazio, e specialmente la Epistola ai Pisoni. E, a proposito di questa, le parole di Cesare Cantú nella sua Storia della letteratura latina, che, al pari delle sue altre storie letterarie, è tutt’altro che da buttar via, come pareva e pare ai sopracciò d’ieri e d’oggigiorno. «A questo disordine non inteser nulla i pedanti incapaci di intendere ciò che si eleva sopra il livello dell’aurea loro mediocrità. E dissero che Orazio non era possibile avesse scritto un componimento fuor delle regole che essi avevano assegnate come le sole vere. Altri si presero la briga di difenderlo; alcuni di riordinarlo: noi preghiamo a lasciar quella epistola com’è, e apprendervi molto, studiandola senza idolatria».

La medesima preghiera, a proposito di Esiodo si vorrebbe rivolgere ai filologi d’oggi, i quali, al solito, trattano l’opera d’un antico poeta, per la quale tutta l’antichità nutrì un’ammirazione quasi religiosa, come territorio di conquista. Basti ricordare lo scempio del Fick, che, a furia di espunzioni, ridusse il poemetto a duecentottantotto versi, e questi ricompose a suo talento in tante strofe e gruppi, e poi, come già aveva fatto per Omero, tradusse tutto in un certo suo gergo che avrebbe dovuto essere il genuino colore eolico arcaico del poemetto d’Esiodo. Davanti a simili orrori perfino il Christ perde le staffe, e parla di macelleria e macellari.

Forse non si potrà mai, ma certo non si può nelle condizioni attuali delle nostre conoscenze, risolvere la questione con sicurezza obiettiva. E allora, tanto vale non ingombrare piú le carte, e, messi da parte gli enigmi, rivolgersi agli altri problemi, presumibilmente fecondi, a cui dà occasione il poemetto d’Esiodo.

Ma soprattutto bisogna guardarsi dal pregiudizio, che dovrebbe essere oramai superato, e secondo il quale l’eccellenza d’un opera poetica dovrebbe consistere solamente nella pre-