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lxxxviii ESIODO

di Biblo, e una focaccia di fior di farina, e latte di capre che non siano in caldo, e carne di manza pasciuta nei boschi, e che non abbia figliato, e di capretti di primo parto; e bevici sopra limpido vino, seduto all’ombra, paga la brama di cibo, volto il viso al fresco zefiro, presso ad una fonte perenne di roccia, dove non sia torba».

Colori troppo vivi, pittura troppo accarezzata, se non dipingesse cose molto amate e molto desiderate, e forse da chi abitualmente non le possiede.

E un altro lato caratteristico dell’uomo Esiodo è il coraggio. Noi non sappiamo appuntino che cosa fossero i basilèis che tanto spesso ricorrono nel poemetto. Pare fossero sette magistrati eletti del popolo come capi militari civili e religiosi di Tespia. Ma certo il loro potere non dove esser piccolo; e piú temibili poteva renderli il fatto che Ascra era vicina a Tespia. Pur tuttavia, Esiodo li attacca senza il menomo riguardo, e li investe di rampogne perché si son lasciati corrompere dai doni, e hanno data vinta la causa a chi aveva torto.

È superfluo soggiungere che da questa visione della vita riesce poi illuminata di rimbalzo tutta la sua arte, che di quella vita è un riflesso.

Del resto, non solo con Perse, ma con tutti quanti Esiodo serba un tòno d’indiscussa superiorità. «Lavora — dice al fratello, e non in atto d’ira, ma per esortarlo benevolmente — o scioccone d’un Perse». E dice ai pastori (cioè fa dire alle Muse, ma s’intende che torna al medesimo):

Pastori avvezzi ai campi, gran bindoli, pance e null’altro.

E donde ripete questa superiorità? — Dalle stesse Muse,